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La Manutenzione: da costo a creazione di valore (1^ parte) |
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La Manutenzione: da costo a creazione di valore (1^ parte)
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La manutenzione può divenire una funzione strategica, se si dimostra in grado di dare valore aggiunto.Cosa è la Manutenzione? Da anni si fa un gran dibattere sulla missione della funzione manutenzione, sul suo ruolo e sui suoi obiettivi, nonché sul suo contributo al conto economico aziendale: è un costo indispensabile per conservare il buon funzionamento del macchinario e prevenirne i guasti, o una leva strategica per renderlo più profittevole e massimizzarne la vita utile? Le definizioni correnti non aiutano a fare chiarezza. Da Wikipedia riportiamo: Manutenzione è la scienza che finalizza le attività umane ad un impiego economico e sostenibile delle risorse, nella progettazione e nella gestione dei sistemi antropizzati e nella conservazione dei sistemi naturali. La manutenzione persegue obiettivi di fruibilità e conservazione del valore dei sistemi nel tempo, utilizzando una molteplicità di tecniche e di strumenti ... L'obiettivo è quello di assicurare le azioni necessarie al raggiungimento di tali obiettivi e la disponibilità di risorse ben formate per realizzare tali azioni in modo adeguato. La manutenzione inoltre ha il compito di adeguare e se possibile migliorare costantemente i sistemi alle esigenze espresse dai loro utilizzatori, ricorrendo dove necessario alla loro riprogettazione o alla loro sostituzione, quando i sistemi non sono più in grado di svolgere compiutamente la funzione loro assegnata. Si tratta di una definizione assai più ampia e ambiziosa di quella fornita dalla norma UNI 10147 del 1993, che la vuole “combinazione di tutte le azioni tecniche ed amministrative, incluse le azioni di supervisione, volte a mantenere o a riportare una entità in uno stato in cui possa eseguire la funzione richiesta”. A sua volta, la più recente UNI EN 13306 del 2003 si limita a qualche variante, prevalentemente di forma, e diviene: “combinazione di tutte le azioni tecniche, amministrative e gestionali, previste durante il ciclo di vita di un’entità, destinate a mantenerla o riportarla in uno stato in cui possa eseguire la funzione richiesta”. La differenza fondamentale tra le due definizioni, che possono essere considerate complementari, sta nell’approccio: la prima (Wikipedia) riguarda le finalità, la seconda (UNI) i compiti della manutenzione. Chiaramente stiamo parlando di una funzione in rapida evoluzione, per altro con connotazioni molto diverse da azienda ad azienda. SKF Reliability Systems [1] propone un modello di “maturità della manutenzione” in quattro stadi: 1. “pompieraggio”, focalizzato sulla riparazione dei guasti; 2. “mantenimento”, focalizzato sulla prevenzione per evitare i guasti; 3. “sviluppo”, focalizzato sull’incremento della disponibilità impiantistica; 4. “innovazione”, focalizzato sul miglioramento e sull’ottimizzazione di efficienza ed efficacia. La definizione UNI è più vicina ai primi due stadi del modello indicato, mentre quella di Wikipedia è riconducibile al terzo e al quarto. In sintesi: la missione e il ruolo della funzione manutenzione possono essere descritti compiutamente solo con riferimento ad una specifica realtà aziendale, e tenendo conto degli obiettivi che, nella stessa, le vengono assegnati. Con riferimento ai possibili obiettivi, T. Wireman [2] ne elenca alcuni, collocando al primo posto “massimizzare la produzione al minimo costo, con la qualità più elevata e nel rispetto di standard ottimali di sicurezza”. Per maggiore chiarezza, riportiamo alcune frasi della sua prefazione: “Molte aziende vedono la manutenzione come un male necessario … una funzione senza valore aggiunto. Queste aziende non sopravviveranno per un altro decennio … saranno estromesse da quelle che considerano la funzione manutenzione come un vantaggio competitivo strategico. … Quelle che non vedono valore nella manutenzione non hanno mai imparato a misurarlo.” Gli indicatori di manutenzione Come per ogni altro processo o funzione aziendale, anche nel caso della manutenzione gli obiettivi devono essere esplicitati in modo chiaro e compiuto, essere in linea con la missione dell’azienda ed essere misurabili tramite indicatori adeguati. Questi indicatori quantitativi sono essenziali sia per poter gestire (Juran: “Non si può gestire ciò che non si misura”), sia per orientare i comportamenti. Quindi si misura per: capire se si stanno raggiungendo gli obiettivi prestabiliti; individuare opportunità di miglioramento; quantificare i miglioramenti realizzati; fare confronti con altre realtà, interne o esterne all’azienda; condividere i successi, motivando e stimolando cambiamenti e miglioramenti. È necessario disporre di due tipi di indicatori [3] (entrambi spesso individuati, anche in italiano, con l’acronimo KPI = Key Performance Indicators): 1. Indicatori di risultato, che misurano “a posteriori” se abbiamo gestito e/o operato efficacemente ed efficientemente. 2. Indicatori di performance dei processi (detti anche indicatori “guida” o anticipati), da cui deriveranno i risultati misurati come al punto precedente, che consentono di gestire e/o operare in funzione dei risultati voluti (non si possono “gestire i risultati”, ma solo quei fattori di processo che li determinano). Esempio: una elevata frequenza di guasti è un indicatore di risultato; si può pensare di ridurla incrementando le attività di manutenzione preventiva e predittiva e la loro efficacia (indicatori di performance dei processi manutentivi). 1. I principali indicatori di risultato della manutenzione sono: Costi di manutenzione sul valore di rimpiazzo degli impianti Costi di manutenzione sul costo totale di produzione Costi di manutenzione sul fatturato MTBF (tempo medio tra i guasti) per le macchine “critiche”, o in generale MTTR (tempo medio di ripristino) e MRT (tempo medio di riparazione) Tempo di indisponibilità (ore) per manutenzione su guasto Tempo di indisponibilità (ore) per manutenzione preventiva / predittiva. 2. I principali indicatori di performance dei processi manutentivi sono: Percentuale di richieste di lavoro convertite in ordini entro “x” giorni Percentuale di ore di m.d.o. per manutenzione preventiva periodica e predittiva Percentuale di ordini di lavoro con ore di m.d.o. preventivate entro ± 10% del consuntivo Percentuale di ore di m.d.o. realizzate su programma (sul totale ore di m.d.o.) Percentuale di ordini di lavoro completati entro la scadenza “al più tardi” prevista Percentuale di ordini di lavoro chiusi entro tre giorni da fine intervento Numero di interventi per il miglioramento dell’affidabilità impiantistica conclusi nell’anno. Nel documento citato di Ivara Corp. [3] sono elencati 26 indicatori: dieci sono del primo tipo (di risultato), gli altri del secondo; quelli di natura economica, comunque, fanno solo riferimento ai costi. Vi si trovano però alcuni concetti interessanti: i “prodotti” delle attività di manutenzione sono l’affidabilità e la disponibilità degli impianti, necessarie – oltre che per garantire la sicurezza e il minimo impatto ambientale – per ottenere qualità e disponibilità dei prodotti, servizio ai clienti ed efficienza operativa. In ultima analisi, quindi, gli scopi della manutenzione sono la soddisfazione dei clienti e la competitività dell’azienda; ciò permette di stabilire una connessione diretta tra i suoi KPI e quelli della produzione. Ritroviamo, in sostanza, gli stessi concetti espressi da T. Wireman sopra citati. L’UNI, nella sua norma più recente in materia [4], ripresa da quella europea, presenta ben 71 indicatori, suddivisi in tre gruppi: economici, tecnici e organizzativi. Solo alcuni indici dell’ultimo gruppo possono essere considerati del secondo tipo, mentre la maggior parte riguarda l’esame degli organici e delle ore di attività. La focalizzazione degli indici economici, invece, è prettamente sui costi. Una interessante trattazione di alcuni indici di risultato di natura sia tecnica sia economica, più utilizzati in pratica nell’esercizio della manutenzione e nella valutazione delle sue prestazioni (non tutti recepiti dall’ultima norma UNI – che per altro lascia la facoltà alla singola azienda di introdurne altri, purché ben definiti – ma riscontrabili nelle precedenti edizioni), con una chiara spiegazione del loro significato, della loro correlazione con le politiche di manutenzione, della procedura di calcolo e delle modalità di impiego, si trova nella serie di articoli di F. Cominoli [5]. L’americana Society for Maintenance and Reliability Professionals (SMRP) sta sviluppando, da tre anni, una serie di 77 KPI standard di manutenzione e affidabilità (definiti “Best Practice Metrics” – inizialmente erano 45), suddivisi in cinque gruppi [6]: 1.0 business e management; 2.0 affidabilità dei processi di produzione; 3.0 affidabilità del macchinario; 4.0 competenze e capacità del personale; 5.0 gestione delle attività. (segue nella 2^ parte) Bibliografia: [1] Waine G. Reed: “Mapping Maintenance Maturity”, SKF Reliability Systems, 2006. [2] Terry Wireman: “Developing Performance Indicators for Managing Maintenance”, Industrial Press, New York, 2005. [3] Al Weber, Ron Thomas: “Key Performance Indicators”, Ivara Corp., Nov. 2005 [4] Norma UNI EN 15341: “Indicatori di prestazione della manutenzione (KPI)”, Luglio 2007. [5] Francesco M. Cominoli: “Indici di Manutenzione – Schede 01 ÷ 10”, Manutenzione Tecnica e Management, Febbraio 2004 ÷ Aprile 2005. [6] Dick Olver: “SMRP Best Practice Metrics Development”, presentazione alla Mainten |
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